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sabato 18 settembre 2021

Autunno Caldo


 Non troppi anni fa, l’autunno caldo aveva un significato ben preciso. Si trattava di un modo per indicare le rivolte/rivendicazioni sindacali.

Ai nostri giorni, non ci apprestiamo più a vedere rivolte operaie, ma l’autunno caldo che ci prepariamo a vivere è legato al virus che ormai accompagna giornalmente la nostra vita da 18 mesi.
Premessa: tutti gli indicatori, dall’incidenza all’occupazione dei posti letto, sono in discesa. Una bella differenza rispetto ad un anno fa, in cui le prime due settimane di settembre mostrarono una rapida espansione dell’epidemia.
Eppure, tutti sono preoccupati dall’arrivo dell’autunno, tra scuole e ripresa delle attività al chiuso. Ed ecco che “l’autunno caldo” torna a far breccia nel lessico comune. Ma cosa accadrà realmente nelle prossime settimane? Le previsioni di lungo termine sono sempre ricche di incertezza, farle è un azzardo viste le variabili che entrano in gioco. Qualcosa, però, lo possiamo affermare senza timore: “questo autunno sarà diverso da quello del 2020”.
E’ plausibile che la riapertura delle scuole, la piena ripresa delle attività produttive, i trasporti pubblici sotto pressione, che l’anno scorso fecero da miccia al contagio, potranno contribuire a modificare l’andamento del contagio anche quest’anno. Tuttavia, qualcosa è cambiato. Qualcosa di sostanziale è cambiato. L’anno scorso la popolazione era completamente suscettibile al virus, non protetta dai vaccini. L’evoluzione della curva epidemica sappiamo dipendere da tre fattori cruciali: 1) il numero medio di contatti di ogni individuo; 2) la probabilità che un contagiato infetti un’altra persona facendo aumentare l’infettività; 3) il tempo di infettività della malattia. Lo scorso anno potevamo controllare solo il primo termine. E per contenere l’epidemia abbiamo adottato le chiusure, che hanno fatto scendere la curva lentamente.
Adesso, con l’introduzione dei vaccini, possiamo influire sulla probabilità di contagiare e sul tempo d’infettività, cioè per quanto tempo si rimane contagiosi. Uno studio apparso su Nature (https://www.nature.com/articles/d41586-021-02187-1) ci dice che grazie ai vaccini il tempo di infettività si è dimezzato, da due a una settimana e la probabilità di infettare è molto ridotta. Poi, sebbene la Delta sia più contagiosa dei ceppi originari, ha un tempo più breve di latenza, il periodo di incubazione della malattia in cui si è contagiosi ma senza sintomi: da una media di sei giorni siamo passati a quattro (https://www.nature.com/articles/d41586-021-01986-w). Grazie ai vaccini, così, la discesa della curva è avvenuta molto più velocemente.
E allora ne siamo fuori? No!
Siamo in quella fase in cui c’è da capire quale delle componenti che trainano l’epidemia avrà il peso maggiore. Immaginiamo una di quelle bellissime bilance con due piatti. Da un lato, il numero di contatti per persona aumenterà, con il riprendere delle attività produttive e della scuola (con tutto quello che ruota intorno alla scuola). Dall’altro, la quota di persone vaccinate continuerà ad aumentare, verso la cosiddetta immunità di popolazione, riducendo di molto la probabilità di infettarsi nella popolazione vaccinata (i dati già lo dimostrano). Da che parte penderà la bilancia è presto per dirlo, ma almeno in quest’autunno caldo abbiamo qualcosa per controbilanciare l’aumento del numero di contatti.
E allora ricordiamo sempre che “Unreliable predictions about COVID‐19 infections and hospitalizations make people worry” (www.dx.doi.org/10.1002/jmv.27325)

martedì 20 aprile 2021

Riaprire o non riaprire?

 


Aprire o non aprire? “Rischio calcolato”, ma da chi e, soprattutto, come? Per valutare il rischio, qualcuno dovrebbe dirci quali sono le attese, con i loro intervalli di confidenza, per decessi, ospedalizzazioni, variazione di PIL, numero di imprese fallite con e senza le aperture programmate. 
Leggendo poi i giornali, l’impressione è che qualcuno non sia più ricercatore o scienziato o politico, ma “chiusurista” o “aperturista” a prescindere dai dati.
Chiariamo: la novità è la possibilità di passare in zona gialla, leggermente schiarita dalla cena al ristorante in spazi aperti e dalla scuola in presenza (anche in arancione). Non è un “apri tutto”.
Le restrizioni sono e saranno sempre basate sull’analisi dei dati disponibili a livello regionale. Prendere decisioni a livello provinciale sarebbe la strada da seguire, ma poi chi controlla? Certo vedere la Sardegna zona rossa e la Calabria arancione fa sorgere più di qualche dubbio sul sistema di monitoraggio, ma questa è un’altra, purtroppo la solita, storia di  competenze che non vengono utilizzate. 
Come evolverà il contagio se viene assegnato il colore giallo aduna Regione che ancora è a rischio? Sappiamo che, spesso, abbiamo chiuso tardi e aperto troppo presto. Sappiamo che in zona gialla c’è la possibilità di un aumento dei contagi. 
Le domande che ci poniamo sono due. 
1. Quanto inciderà la stagionalità? Questo non possiamo saperlo sulla base dell’esperienza dell’anno scorso: l’anno scorso eravamo in una situazione molto diversa, abbiamo riaperto in estate dopo una lunga chiusura totale. 
2. Se anche il contagio si dovesse diffondere maggiormente in termini assoluti, quanto incideranno le vaccinazioni fatte fino ad ora nel ridurre decessi e ospedalizzazioni? Ci si può facilmente aspettare un incremento dell’incidenza principalmente riservato alle età più giovani, che attualmente sembrano correre un rischio maggiore rispetto ad un anno fa. 
Analizzare la distribuzione per età dei ricoveri, il network di contagio, la durata della degenza, ecco cosa ci potrebbe dare risposte ad entrambe le domande. I dati? Non sono pubblici, molti non vengono raccolti in maniera corretta o non sono registrati affatto. 
Ci interroghiamo anche su quanti morti dovremo ancora contare ogni giorno. In tal senso la vaccinazione sta mettendo al riparo i più fragili e gli anziani. Ancora è presto per trarre conclusioni, ma il tasso di letalità è diminuito, e gli esempi di Israele e UK sono di ottimo auspicio. Certo che con 300 morti al giorno è difficile parlare di ritorno alla normalità. Visti i tassi di vaccinazione un paio di mesi ancora ci vogliono per raggiungere una proporzione sufficiente di prime dosi, più i tempi per l’immunità, più i tempi per vedere un effetto sulla curva dei decessi. 
E allora? Davvero dopo 15 mesi di analisi dell’evoluzione dell’epidemia c’è chi grida allo scandalo per l’istituzione nuovamente della zona gialla? Sì, è vero, sarà una zona gialla un po’ diversa. Però, diciamolo, anche le zone rosse di queste ultime settimane sono state molto meno rosse che in passato; anzi, di rosso c’era solo che i ristoranti e le scuole restavano chiusi.
I ragazzi/bambini sono spesso asintomatici e vengono mandati a scuola senza alcun timore. Basterebbe fare tamponi in modo continuativo per ridurre il rischio. Troppi costi, troppo tempo? Esistono modi per ridurre costi e tempi. Elaborare i tamponi in gruppi. Elaborare strategie di screening per priorità di rischio. Modulare la frequenza di screening in base all’incidenza osservata. Il modo per risparmiare senza ridurre l’efficacia del monitoraggio, c’è.
E alla fine di tutto, se non si fanno controlli a tappeto possiamo stare qui a parlare quanto vogliamo, ma non ci sarà mai alcun modo di contenere il contagio.

lunedì 15 marzo 2021

Dalla Zona Rossa

 


Se ha una laurea scientifica e dice quello che vuoi, allora va bene”. Questa frase racchiude quello che succede quotidianamente nella comunicazione. Si hanno delle opinioni e si cerca qualcuno titolato pronto a supportarle. 

Il nostro lavoro non funziona così. Non siamo qui a supportare le opinioni di alcuni a discapito di altri. La ricerca per essere autorevole deve lasciar fuori le opinioni personali, altrimenti perde di credibilità. Anche noi e i risultati delle nostre analisi spesso veniamo messi in discussione. Un po’ fa parte del gioco. Parlare, raccontare, fare ricerca ti espone a critiche e commenti. 

La parte meno piacevole è che alcuni commenti, anche di stimati colleghi, non siano posti sul piano scientifico, ma travalichino l’aspetto accademico per diventare attacchi personali. 

La nostra decisa presa di posizione sulla gestione dei dati dell’epidemia è ovvio che non faccia piacere a qualcuno e che invece possa essere strumentalizzata da altri. 

Noi però non ci stiamo. In entrambi i casi, il nostro contributo è di natura pratica, vuole portare ad interventi mirati per una migliore gestione della situazione, che resta emergenziale. La polemica, la strumentalizzazione politica, non è per noi di alcun interesse.

Qualcuno ci chiede “cosa proponete?”,  è facile criticare, molto più difficile costruire.

In questi mesi, i nostri lavori scientifici (argomentazioni verificate e scrutinate da altri tecnici) sono stati e sono in corso di pubblicazione  su riviste importanti in ambito statistico e non solo. Abbiamo costruito modelli di previsione che possono (avrebbero potuto essere) utilizzati dai decisori politici. Non siamo gli unici (RobBayes, Covistat…). Le proposte, concrete, sono molteplici. Si potrebbero, ad esempio,  assumere i disoccupati per riprendere il contact tracing. Realizzare campagne rapide di monitoraggio nelle scuole, somministrando tamponi salivari agli allievi e processandoli con la tecnica del  pooled sample testing, in cui  cinque (o più)  tamponi vengono analizzati insieme in laboratorio: se il pooled sample risulta negativo, significa che tutti i singoli tamponi sono negativi e non occorre fare altre analisi; se il pooled sample  è positivo, si torna ad esaminare i cinque tamponi uno per uno per individuare il (o i) positivo/i.  (una tecnica che fa risparmiare moltissimo tempo e denaro, e che avevamo proposto, inascoltati, già un anno fa). Ancora, sarebbe opportuno usare i laboratori universitari in modo da non gravare ulteriormente sulla sanità pubblica. Istituire dei campioni di sorveglianza, gestiti dall’Istat che ha tutte le competenze per selezionarli e gestirli, sempre impiegando nella gestione operativa degli stessi personale formato ad hoc e assunto per l’occasione. Creare una rete di laboratori regionali che, a turno, sequenzino settimanalmente un elevato numero di tamponi positivi per determinare l’effettiva diffusione delle varianti. Insomma, le proposte concrete non ci mancano affatto: sono mesi che gli statistici, tutti insieme, provano ad alzare la voce e a farsi sentire. Noi siamo solo un mezzo.

Eppure c’è chi ancora pensa che sia interesse personale, brama di visibilità. Chi ci conosce sa che abbiamo uno spiccato senso delle istituzioni, noi ci identifichiamo con lo stato, con le istituzioni per cui lavoriamo. Non vediamo l’ora, come tutti, che questo momento passi per tornare alle nostre vite, fatte di cene, calcetto, mare, montagna, famiglia, tango, aikido, e soprattutto viaggi. 

E per oggi dalla zona rossa (di vergogna) è tutto.


Come un anno fa

 







È passato un anno dall’inizio della pandemia. Noi siamo riusciti a mettere in piedi un gruppo di ricerca a partire da una chat di Facebook e senza mai incontrarci di persona (o quasi). Abbiamo messo in piedi modelli di monitoraggio e di previsione verificandone l’affidabilità e l’accuratezza, giorno per giorno, prima di renderli pubblici. Li abbiamo fatti valutare e commentare da altri colleghi, che hanno ritenuto fossero validi per essere pubblicati su riviste scientifiche di prestigio. Abbiamo avviato collaborazioni nazionali e internazionali, fatto un quintale di seminari, parlato con i giornalisti, e fatto amicizia con molte persone belle e nuove. Abbiamo insomma armato “una gran caciara” per studiare, proporre, immaginare soluzioni e azioni in questo momento terribile. E siamo solo 5. In Italia ci sono moltissime persone di grande competenza, su svariati temi (disegno campionario ad esempio) e costoro, come noi, riflettono, propongono, immaginano. Cervelli al lavoro in ogni dove, alcune eccellenze internazionali coinvolte, un dibattito scientifico davvero straordinario. Eppure, qualcosa non funziona. Davvero c’è qualcosa che non va. Con tutta questa intelligenza, competenza e tonnellate di idee a disposizione qual è l’unica soluzione al momento disponibile per “gestire” l’epidemia? Chiudere tutto…. Nonostante questa sia la situazione dell’incidenza settimanale nelle varie regioni. Il CTS e di conseguenza il governo, utilizza Rt stimato usando informazioni relative alla Lombardia a inizio marzo 2020 come punto di partenza e altre “finezze” metodologiche che lasciamo stare. Manca la cultura statistica, mancano le competenze adeguate per analizzare i dati. Proposte ne abbiamo. Tutti noi statistici lavoriamo da tempo per metterle a disposizione dei decisori. Sicuri che non ci sia un approccio migliore che l’uso di Rt e di un diagramma di flusso deterministico per decidere della quotidianità di tutti noi?

mercoledì 3 marzo 2021

Compleanno

 



Un anno fa - il 3 Marzo 2020 - nasceva StatGroup-19, nasceva spontaneamente, senza la consapevolezza di un futuro, nemmeno prossimo. Poi, ascoltando lo smarrimento e i dubbi delle persone, abbiamo cercato di capire e spiegare l'epidemia. Ed è passato un anno, velocemente. È tempo di compleanni, e ai compleanni si fanno anche bilanci. E’ passato un anno in cui abbiamo studiato, scritto, discusso, criticato, collaborato, pubblicato. Un anno intenso, faticoso, duro per noi come per tutti. Ma c’è anche la soddisfazione per aver provato a dare una lettura dei fatti, a spiegare la loro complessità, a prevedere e comprendere come gestire la situazione.
È passato un anno e come stiamo? Leggendo post e alcuni giornali sembra di essere a Marzo 2020. Ma siamo nel 2021: abbiamo vaccinato quasi 1 milione di over 80, abbiamo chiusure mirate, e conosciamo molto molto meglio il virus. Quello che non cambia è l‘incapacità di comunicare correttamente da parte sia di parte delle istituzioni, che di alcuni giornali. L'inseguimento del titolone è parossistico, e ormai se non si grida al "moriremo tutti" non si pubblica. Questo “Al lupo al lupo” per cui le grida erano uguali ad Agosto e ad Ottobre 2020 non ha aiutato a percepire sfumature fondamentali. Noi siamo sempre sulle stesse posizioni. No, non moriremo tutti. Dovremo fare attenzione, ancora per molto. Abbiamo ora tutti gli strumenti per farlo. Ne usciremo. Ne uscirà anche l’economia? Il tessuto sociale? Se saremo capaci di cogliere le opportunità che abbiamo, potremmo crescere invece di crollare.
Noi continueremo a leggere i dati, a fare previsioni a breve termine, e a scrivere post ogni tanto.
Buon compleanno a noi, e a chi legge StatGroup-19
😉

domenica 28 febbraio 2021

Scienziati e palcoscenico


 


Gli scienziati sono dei creativi, un po' come gli artisti. Come gli artisti vivono in ambienti molto competitivi, quindi sviluppano una grande determinazione durante la vita lavorativa. E, sempre come gli artisti, molti sviluppano un ego ipertrofico. Il rigore scientifico passa in secondo piano, la deontologia professionale viene piegata a beneficio di sé e del titolo sul giornale. Si diventa complici del giornalismo di bassa lega, chiamando "evidenza chiarissima' un qualcosa che è SOLO una correlazione. Per poi tuonare contro un collega altrettanto tronfio, al grido di" correlation is not causation" (in inglese che fa più cultura moderna).

Lo scienziato è umano, soggetto ai desideri e alle passioni, ma anche, e soprattutto, alle responsabilità. In modo particolare ora, in questo momento in cui la confusione è enorme, in cui gli egomaniaci, a furia di gridare tutto e il contrario di tutto, hanno reso la scienza un'opinione.

domenica 14 febbraio 2021

Lockdown: sì, no, forse. Il problema è il perché.


In questa fredda domenica di febbraio, la lettura delle principali testate nazionali fornisce spunti come non succedeva da un po’. Terminato il toto-ministri, riecco il nuovo tormentone: “chiudiamo tutto, lockdown nazionale, la variante inglese non lascia altra scelta”. La situazione è nota tutti. Skytg24 racconta lo stato dell’epidemia ogni giorno ne “i Numeri della Pandemia”. Siamo in una fase di stallo, le curve dei vari indicatori scendono lentamente, l’attenzione deve essere massima da parte di tutti, perché basta poco per riveder peggiorare la situazione. 

Nel grafico riportiamo una semplice classificazione delle regioni secondo due soglie: occupazione delle terapie intensive (oltre il 30%) e incidenza (oltre 250 per 100mila abitanti). Se si supera una delle due soglie sei arancione, se le superi entrambe rosso, se no resti giallo. Nulla di difficile, una semplice rappresentazione, che, monitorata settimanalmente, fornisce piccole informazioni sull’andamento dell’epidemia.  Abbiamo visto momenti peggiori.

Oggi si riparla di lockdown. Perché? Con quale obiettivo? A leggere le varie opinioni, è proprio l’obiettivo che non sembra essere chiaro, né tantomeno esplicitato. Proviamo ad immaginare quali obiettivi possono essere perseguiti tramite un lockdown.

Obiettivo 1: estinzione locale dell’epidemia. Si vuole eliminare il virus dall'area di interesse. A questo scopo è utile un lockdown totale, fino ad arrivare a zero casi al giorno per un periodo sufficiente (uno/due cicli di incubazione completa, cioè 14/28 giorni). Misure rigide di isolamento e quarantena sono ovviamente fondamentali, e una sorveglianza epidemiologica molto rigida è indispensabile successivamente in particolare sugli ingressi dall'esterno del territorio.

Obiettivo 2: mitigazione degli effetti della diffusione dell’epidemia, con minimizzazione dei decessi. Il lockdown non è necessario, se non come estrema ratio. È sufficiente una buona strategia di Test, Tracciamento e Trattamento/isolamento/quarantena (TTT). Nel momento in cui in una area si perde la capacità di TTT (esistono indicatori standardizzati, ormai), è necessario un tempestivo e breve lockdown (solo nell'area) fino a ripresa del controllo della situazione.  

Obiettivo 3: mitigazione degli effetti della diffusione dell’epidemia, per evitare il collasso del sistema sanitario. Anche in questo caso, il lockdown non è necessario, se non come estrema ratio. Un serio monitoraggio (gli indicatori li abbiamo) della pressione sul sistema sanitario, legato alla definizione di livelli di rischio di collasso, consente in genere di evitare il lockdown.
Qui http://dx.doi.org/10.23812/21-3-E c’è scritto "It has been noted that the spreading rate of the British variant could be greater than 70% of cases compared to the normal SARS-CoV-2 virus, with an R index growth of 0.4" è la stessa forma della frase che ammette una sostanziale mancanza di evidenze forti, ottenuta sulla base di studi ben disegnati e analizzati con solidi metodi statistici. Non vorremmo passi l’idea che se non sai spiegare qualcosa, allora puoi dare la colpa alla variante.



 

domenica 10 gennaio 2021

Uno, nessuno, centomila oppure two is megli che uan?




Di che colore siamo oggi? E’ la domanda che ogni mattina facciamo alla prima persona che vediamo. Come nel gioco “strega comanda colore” abbiamo smesso di chiederci il perché della scelta del colore, quasi rassegnati. Abbiamo parlato di 21 indicatori, pensati e costruiti per decidere su ciò che possiamo e non possiamo fare. Troppi, ridondanti e basati su dati sempre troppo datati per fornire una risposta tempestiva in caso di emergenza. Abbiamo scoperto cosa fosse Rt e che pochi decimali di Rt sono preziosi per rimanere “gialli” e non passare “arancioni”. Come se ci fosse solo un modo per stimare Rt, come se fissare il tempo di generazione, necessario alla stima di Rt, ai valori stimati per la Lombardia a febbraio avesse qualche senso logico. Rt, come stella polare dell’epidemiologia italiana; forse l’unica cosa che sanno calcolare tutti, visto che c’è EpiEstim in R che lo fa per noi. 


A nostro avviso, le decisioni è meglio prenderle sui dati osservati e aggiornati. Visto che la loro eterogeneità è già grande (i dati pubblici sono tutt’altro che “puliti”), perché rendere tutto ancor più incerto andando a stimare valori di cui non conosciamo l’affidabilità?

Se il nostro scopo è bloccare una zona quando la pressione sul sistema sanitario è potenzialmente insostenibile, dobbiamo utilizzare indicatori che ne tengano conto e indicatori che ci permettano di capire lo stato del contagio. Le strade da seguire possono essere molteplici, ma ci hanno insegnato che si debba partire da cose semplici e, se non sufficienti, muoversi verso approcci più complessi.

E allora cominciamo da qui: non un solo indicatore ma due. Ad esempio prendiamo l’incidenza settimanale (sulla popolazione residente in una regione) e l’occupazione media delle terapie intensive settimanale rapportata al numero di posti letto. Con questi due indicatori su di un grafico, stabilendo, come esempio, le due soglie (30% per le terapie intensive e 250 contagi per 100mila abitanti) già utilizzate dal governo o proposte dal CTS, si ottiene quanto riportato nel grafico: Marche, Friuli, Trentino e Veneto in zona rossa, 5 regioni in zona arancione e il resto giallo. 

Va  detto che la situazione è complessa, ad esempio la Calabria effettua meno di 1500 tamponi settimana per mille abitanti, fanalino di coda del paese, sembra che proprio non faccia attività di sorveglianza. Magari due indicatori basati su dati osservati non bastano, ma almeno sappiamo esattamente perché oggi siamo gialli e domani arancioni


martedì 5 gennaio 2021

Vaccini e comunicazione

 




Una breve nota su come la comunicazione di massa stia affrontando in modo spesso approssimativo questioni molto delicate, come quella dei vaccini.

Due definizioni fondamentali.

Incidenza: rapporto fra il numero di nuovi casi osservati in un fissato periodo di tempo e il numero di persone nel gruppo (o popolazione) di riferimento. 

Prevalenza: rapporto fra il numero di casi attivi in un dato istante di tempo e il numero di persone nel gruppo (o popolazione) di riferimento

Come si misura l'efficacia di un vaccino? Si misura con il rischio attribuibile. Il rischio attribuibile si stima come (incidenza nel gruppo placebo - incidenza nel gruppo dei vaccinati)/(incidenza nel placebo). 


Il Corriere della Sera (https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/covid-vaccino-quante-probabilita-ci-sono-chi-guarito-ricontagiarsi-immune-immuni/f1fd386a-42c5-11eb-a388-78033ff67873-va.shtml) ci propone un’analisi interessante, tanti numeri, molti commenti, poca statistica. A prima vista, soprattutto visto che a promuoverla a Milena Gabanelli, c’è da fidarsi. Eppure, c’è qualcosa che non va. Che senso ha confrontare 

l’efficacia stimata del vaccino (il rischio attribuibile) con il numero di reinfezioni (l’incidenza)? La risposta è semplice, non ha alcun senso. E’ come confrontare le pere con la patate fritte.


Anche volendo ricavare il rischio attribuibile di reinfezione, bisogna fare molta attenzione.

 Infatti, l'incidenza si riferisce sempre ad un intervallo di tempo, e quell'1.8% di reinfezioni che riporta il Corriere non è riferito allo stesso intervallo di tempo in cui è stato valutato il vaccino. Il calcolo del rischio attribuibile ha senso solo finché le incidenze sono riferite allo stesso intervallo di tempo, con analoga circolazione e trasmissibilità del virus (quindi nella stessa area geografica come minimo). L'incidenza non è intrinseca al virus, ma è frutto dell’interazione tra questo e la popolazione. 

La domanda stessa che si pone il Corriere ha poco senso.

Un vaccino si valuta in termini di rischi (di eventi avversi), costi, e benefici. Il vaccino Pfizer, approvato, e quello Moderna, in approvazione, sono vaccini sicuri ed efficaci. I benefici in termini sanitari, sociali ed economici sono talmente maggiori dei rischi, che è inutile anche discuterne. Solo chi ha pregiudizi, o manie di complottismo, può pensare il contrario. EMA e AIFA sono organi indipendenti che valutano benefici e rischi, per poi prendere decisioni consapevoli e basate su evidenze scientifiche.

Il modello Svezia ha ampiamente fallito (https://doi.org/10.1093/ectj/utaa025). La via per tornare alla normalità è il vaccino, l’abbiamo appena intrapresa, ci vorrà tempo, ma abbiamo la certezza che ne usciremo.




sabato 28 novembre 2020

Il Manifesto

 

Ci siamo, è il momento di agire!
Si discute di dati accessibili ai ricercatori e di competenze specifiche necessarie all’analisi dei dati e al supporto delle decisioni politiche.
Gli statistici ci sono, ci sono sempre stati. La Società Italiana di Statistica è in prima fila per la promozione delle competenze, centrali per un’analisi corretta dei dati, competenze che solo chi ha veramente studiato statistica ha. Un manifesto, un ribadire la centralità dei dati e delle competenze, in un momento storico in cui è difficile districarsi tra analisti dei dati improvvisati e sciamani della comunicazione scientifica. Non è un lavoro per tutti, la SIS lo ribadisce chiaramente e, oltre a chiedere trasparenza, rivendica il ruolo della Statistica e del profilo dello statistico come scienziato.

Per firmare andate qui e di seguito trovate il testo della lettera aperta.



Lotta al COVID-19: sono necessari dati di alta qualità per le analisi e competenze adeguate per analizzarli

L’emergenza dovuta alla pandemia da COVID-19 ha messo in luce l’importanza fondamentale della disponibilità di dati affidabili e di competenze elevate nell’analizzarli per permettere di comprendere la pandemia, prevederne l’evoluzione, approntare strumenti sia di politica sanitaria che di politica economica per affrontarla e valutare gli effetti delle scelte effettuate.
È sempre più evidente come sia fortemente necessario offrire un supporto competente per una raccolta di dati ispirata a criteri di qualità ed integrare informazioni disponibili sulla base di criteri statistici che tutelino tale qualità. Ed è ancor più evidente come, accanto alla raccolta di dati di alta qualità, occorra reclamare spazio per le competenze scientifiche necessarie per analizzarli.

Perché dati accessibili

In larga misura i dati necessari alla costruzione di informazioni efficaci vengono già raccolti da Enti e Agenzie governative, ma non sono resi disponibili alla comunità scientifica. Problemi di riservatezza, e ulteriori considerazioni non note, trasformano i dati grezzi in informazioni non accessibili.
Attualmente i dati disponibili sono raccolti con il dichiarato scopo di sorveglianza, ma se non ne viene garantita la qualità, la confrontabilità tra aree geografiche e gli aspetti definitori fondamentali, qualsiasi analisi di tali dati si limiterà ad un monitoraggio dello status quo che produrrà proiezioni più che previsioni. Per studiare in dettaglio l’andamento dell’epidemia occorrono informazioni il più possibile dettagliate, che permettano di seguire i percorsi individuali di contagio e di evoluzione clinica.
A livello aggregato, sono disponibili a tutti le grandezze aggiornate giornalmente dalla Protezione Civile. Riconosciamo e apprezziamo molto l’enorme lavoro di raccolta e diffusione dei dati compiuto da questa Agenzia. Notiamo però come, a questo punto dell’evoluzione della pandemia, quanto reso disponibile dalla Protezione Civile non sia più sufficiente per rendere trasparente il meccanismo decisionale del governo e la comprensione scientifica dell’evoluzione della pandemia stessa.

In particolare, sulla base di questi dati non è possibile svolgere alcune attività cruciali.
Riprodurre le basi quantitative delle decisioni istituzionali. Questo è emerso in tutta evidenza per ciò che riguarda la recente suddivisione del Paese in tre zone. Devono essere trasparenti le modalità con cui vengono definiti e costruiti indicatori e i criteri per determinare le decisioni finali. È fondamentale che i dati disaggregati con cui questi indicatori vengono alimentati siano resi disponibili. Solo così la comunità scientifica può essere messa in grado di valutare le metodologie usate.
Valutare ex-post, in modo quantitativo e rigoroso, gli effetti delle decisioni. Un esempio di fondamentale importanza in questo ambito è la scelta della chiusura o meno delle scuole. Molti ricercatori stanno tentando di dare una valutazione rigorosa dell'effetto “scuola”, tuttavia le numerose ricerche scientifiche sul tema non forniscono ancora conclusioni condivise, essendo tutte basate sull'analisi dati aggregati.
Comprendere aspetti ancora oscuri del fenomeno. Il mondo scientifico italiano è ricco di competenze che potrebbero utilmente investigare aspetti importanti del fenomeno sulla base dei dati disaggregati, in collaborazione con le Istituzioni e le Agenzie coinvolte nella gestione della crisi epidemiologica.

Perché competenze adeguate

Le competenze statistiche sono attualmente molto richieste e molto difficili da trovare in tutto il mondo. Sono diventate sempre più esclusive e rare data la richiesta in continuo aumento, rinforzata dall’attuale emergenza COVID-19. Ad esempio, la Pfizer, società farmaceutica in prima linea per lo sviluppo e la distribuzione del vaccino, condividerà i propri dati solo in gruppi di ricerca in cui sia un biostatistico a condurre le analisi. In Italia, i dati raccolti attualmente, sull’onda dell’emergenza, sono affetti da molti problemi e da un’elevata variabilità. Hanno dunque bisogno, ancora più di altri dati biomedici, di competenze specifiche che permettano di trattare correttamente elementi di confondimento, sbilanciamento ed alta variabilità. Tutti questi aspetti non possono essere gestiti correttamente se non avendo competenze avanzate di statistica.
Risposte tempestive ed efficaci, metodologicamente solide e condivise si ottengono nel momento in cui le giuste competenze sono coinvolte nella raccolta e validazione dei dati e nell’analisi degli stessi. Il processo scientifico richiede numerosi passaggi, in ciascuno dei quali competenze specifiche sono necessarie per una corretta costruzione degli strumenti informativi.
Definizione del problema. In primo luogo, è fondamentale definire cosa occorre osservare per rispondere alle domande di contenimento, monitoraggio e previsione dell’epidemia e del suo impatto in ambito sociale ed economico. In questo processo occorrono competenze diversificate. Gruppi altamente multidisciplinari, al cui interno possano interagire scienziati di aree diverse, sono necessari per affrontare tutti gli aspetti del problema. In questa fase si devono da un lato definire i dati di base necessari alle analisi e dall’altro costruire ed implementare protocolli di armonizzazione tra le diverse fonti di dati.
Gestione delle basi dati. Competenze specifiche di tipo informatico e statistico sono necessarie per la costruzione e gestione di archivi dati con grandi flussi di informazione. I dati non vanno solo memorizzati/salvati, ma soprattutto validati in tempi rapidi per dare risposte tempestive e per garantirne l’accesso pubblico. 
Analisi dell’informazione. In questa fase diventa fondamentale la capacità di definire e sviluppare modelli capaci di cogliere le caratteristiche di fondo del fenomeno di interesse, che permettano di evidenziare potenziali relazioni causali, di definire specifiche procedure di stima per quantità non note ed indicatori, e di costruire previsioni che tengano conto dell’incertezza che accompagna ogni stima.
Condivisione dell’informazione. È necessario confrontare diversi modelli di analisi, ad esempio in termini di capacità predittiva, interpretabilità e robustezza. A tal fine è auspicabile istituire momenti di confronto periodico, a periodicità almeno bisettimanale, fra i ricercatori che sviluppano i modelli e le istituzioni che li potrebbero impiegare, in modo aperto e trasparente, al fine di condividere le migliori soluzioni.
Diffusione dell’informazione. Siamo sostenitori dell’accesso ai dati da parte di tutta la comunità scientifica. L’accogliere tale richiesta permetterebbe una maggiore trasparenza da parte della politica e consentirebbe alla società civile di ottenere informazioni affidabili e certificabili. L’accessibilità va però accompagnata da una incisiva e crescente promozione della cultura quantitativa in tutti gli ambiti, a partire dagli operatori della comunicazione e dai decisori politici.

È da notare che in questo documento si chiede l’accesso a dati dettagliati, e questo accesso non è cosa nuova per il sistema informativo nazionale. Infatti, su argomenti di natura economica, le informazioni sono reperibili al massimo dettaglio consentendo, a chi interessato, di condurre analisi ed elaborazioni di qualsiasi genere (ad esempio, i dati prodotti da ISTAT, Banca d’Italia, Camere di Commercio).
Va sottolineato con forza quanto le giuste competenze siano fondamentali per l’analisi di un fenomeno tanto complesso come la pandemia di COVID-19. L’enorme variabilità osservata a livello globale, nazionale e regionale, deve essere incorporata nelle valutazioni che conducono alle decisioni politiche ed economiche. Saper distinguere tra associazione e relazioni causali con riferimento a osservazioni e variabili incluse nei modelli di analisi è di fondamentale importanza al fine di evitare decisioni basate su variazioni casuali e/o effetti spuri.

sabato 21 novembre 2020

Scienza, statistica e democrazia

Questo bel monologo di Alessia Ciarrocchi a #propagandalive ci ha dato lo spunto per una riflessione. La Scienza di cui ci parla Alessia Ciarrocchi, quella che incarna i valori democratici, nasce alcuni secoli fa, quando Galilei rivoluziona il modo con il quale si guardava la natura. Galilei formalizza qualcosa che si muoveva nel pensiero del suo tempo: il metodo scientifico.
Da allora studiare la realtà segue un percorso rigoroso che si fonda sull'osservazione di un fenomeno, la formulazione di una possibile spiegazione dello stesso, che poi và validata raccogliendo (opportunamente) osservazioni ed analizzando i risultati dell'osservazione (esperimento). Da questi risultati si decide se accettare, rigettare o modificare parzialmente la spiegazione data e poi ripartire con lo stesso procedimento.
In questa descrizione del metodo scientifico si vede subito dove entra la Statistica. E' il pilastro di questo percorso di ricerca: In parte entra nella definizione del modello matematico che descrive la spiegazione di partenza, fornisce i metodi per la progettazione dell'osservazione e le tecniche corrette per analizzare il risultato alla luce della formalizzazione data dal modello matematico iniziale.
La Statistica non è una scienza specifica intesa come corpo omogeneo di conoscenze di un campo delle realtà, ma rappresenta il fondamento metodologico della Scienza tutta, e per questo il suo ruolo diventa centrale oggi. La Statistica permette la verifica quantitativa delle decisioni politiche, permette di smontare le bufale, insomma permette il controllo dei valori democratici, soprattutto ora, al tempo della “società dei dati”. 



mercoledì 18 novembre 2020

Dati, decisori e Statistica

Se c'è una cosa che come StatGroup-19 ci siamo sempre riproposti è di non perdere la pazienza. Ebbene sì, non ce l'abbiamo fatta, ieri sera la pazienza l'abbiamo persa persino noi!
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Nella puntata del 17/11/2020 della trasmissione
DiMartedì
è andato in scena l'ennesimo dibattito approssimativo e, per certi versi, tragicomico sui “dati” di COVID19. Questa volta si è andati molto in là, portando la discussione sulle ragioni metodologiche dietro l'uso di alcuni indicatori (come Rt) per definire i livelli di criticità epidemiologica delle varie regioni italiane. Per discutere del tema, giornalisti ed esperti (non esperti di dati). Il dibattito è stato caratterizzato da una completa assenza di cultura statistica, diventando quindi “comico” a tratti per chi conosce la materia. A tratti è stato “tragico” perché ha messo ancor più in luce la voragine culturale che sta inghiottendo tutti da decisori a commentatori, in questo momento così delicato per il Paese. L'assenza di cultura quantitativa e l’analfabetismo numerico sono davvero un'emergenza sociale, oggi amplificata dalla necessità di prendere decisioni sulla base di evidenze scientifiche di tipo numerico.
Ma veniamo al teatrino serale:
Prologo: l'eterna contraddizione. Nell'immaginario comune, è riconosciuto che la Statistica sia uno strumento fondamentale per spiegare e prevedere il comportamento di fenomeni complessi, come un'epidemia ad esempio. Essendo materia di studio in tanti percorsi universitari, è altresì vero che un po’ tutti pensano di conoscerla e quindi spesso si ritiene non necessario coinvolgere la comunità, le persone, che per professione si dedica al suo studio. Questo anche quando si affrontano questioni ai massimi livelli di criticità. Conoscere alcune nozioni basilari di Statistica, non rende statistici o esperti di analisi di dati. Così come il saper guidare una macchina non rende piloti di formula 1.
Atto (di fede). Il dibattito corre via velocemente, quando il giornalista Damilano affronta il tema e chiede al professor Richeldi (pneumologo e membro del CTS, ndr) di spiegare le ragioni dietro la scelta dei “parametri e se quell'indice su cui tutti ci accapigliamo (Rt, ndr) sia ancora realistico”. La replica del professor Richeldi è da citazione eterna in ogni corso di Statistica, a memoria di come spesso si prendano decisioni senza aver una cultura statistica appropriata. Rivolgendosi al giornalista, rivela: “è bene che noi ci intendiamo, non so se lei sapeva dell'indice Rt l'anno scorso? io personalmente no […] ora se non ci fidiamo e se non affidiamo agli esperti una regia, in questo paese secondo me difficilmente ne saltiamo fuori”. Incalzato poi da Floris sulla qualità dei dati e il ruolo di Merler (definito dal conduttore "superprofessore") chiude con un finale epico: “il superprofessore si trova nelle mani dei dati di cui valuta la qualità, l'attendibilità e l'affidabilità e come vengono inseriti in un parametro multiparametrico (! ndr)”. Ecco lo specchio del momento, parole senza senso, usate per giustificare scelte non chiare, affidandosi alla fede, la fede in una singola persona, l’unico in possesso dei dati.
Epilogo: Rt. Così non va bene per nulla. Affidarsi agli esperti va bene ma fare un atto di fede verso ciò che sostiene un solo esperto scelto come unico depositario della verità statistica sulla questione COVID non è accettabile da un punto di vista scientifico. L'approssimazione con cui viene affrontato e discusso un tema di tale rilevanza come quello delle ragioni scientifiche dietro l'uso di indicatori non può passare in questo modo. E qui c’è anche la responsabilità di alcuni commentatori che non riescono a capire il ruolo rilevante di chi è davvero esperto di Statistica, anche nel dibattito pubblico. Su Rt si deve poter discutere. Prima di tutto Rt non si può calcolare, al massimo si può stimare, ovvero se ne può dare una approssimazione statistica accompagnata da un livello di incertezza. In quanto stima, si basa su una procedura (modello) e procedure diverse daranno stime diverse, con valutazioni dell’incertezza diverse. In questo quadro l'atto di fede non si può fare. Va spiegato e chiarito bene perché si debba usare tale indicatore e perché le assunzioni fatte siano le migliori possibili, oltre che garantirne la verificabilità empirica.
Conclusione. Purtroppo, è sempre più frequente assistere a dibattiti su questioni rilevanti dal punto di vista decisionale in cui sia presente la Statistica, salvo accorgersi che gli unici assenti sono proprio gli statistici. Il non saper/voler riconoscere l'importanza scientifica del loro ruolo nello studio di fenomeni complessi, nella gestione di criticità e nei processi decisionali è estremamente grave. La Statistica è l'essenza metodologica su cui poggia tutta la ricerca scientifica, sia in ambito sperimentale che in quello sociale, ha lo stesso ruolo che la Filosofia ha per la Scienza, è il suo fondamento teorico e concettuale: la ricerca senza la Statistica sarebbe cieca. Si deve allora comprendere ed accettare che nel dibattito (anche) pubblico su questioni di metodo gli unici che possano spiegare e chiarire i dubbi a decisori e cittadini sono proprio gli statistici.



martedì 3 novembre 2020

Covid-19 la nostra app è sempre attuale

 



Con l'assidua collaborazione Marco Mingione e Pierfrancesco Alaimo Di Loro abbiamo creato uno strumento web interattivo che consente la visualizzazione e l'elaborazione dei dati con i modelli che abbiamo sviluppato in queste settimane. La app aggiorna in automatico i dati ogni giorno, e mostra una serie di analisi descrittive e basate su modelli, con la possibilità per l'utente di personalizzare alcune scelte.
Siete curiosi di sapere cosa sta accadendo nella vostra Regione? Volete farvi un'idea confrontando i dati di diverse Regioni? E' vero che la situazione migliora? Andate al link
selezionate l'indicatore che vi interessa, se volete guardare i valori assoluti o le variazioni, e la regione per cui volete le informazioni. Avrete una descrizione dell'epidemia, attraverso diversi grafici che consentiranno di farvi un'idea.
Non vi accontentate solo di avere una descrizione della situazione ad oggi? Siete curiosi di conoscere cosa accadrà domani?
La scheda "Modello" vi consente di visualizzare, oltre che l'andamento di ciascun indicatore, alcune stime e previsioni.

Infine, nella scheda "Previsione terapie intensive" vengono mostrate le previsioni per l'occupazione delle terapie intensive, per regione, ed è possibile visualizzare le statistiche sulla bontà delle previsioni per i giorni precedenti.

Fate uso di un'informazione ottenuta rigorosamente. Bando alle bufale!

lunedì 19 ottobre 2020

Relativizziamo

 



Negli ultimi giorni, con il crescere continuo dell'incidenza osservata, assistiamo ad una gara al "confronto". Fra giornalisti e commentatori è forte la necessità di trovare un riferimento alla prima fase dell'epidemia con cui rapportare quello che stiamo osservando oggi. In molti dibattiti televisivi vengono presentati confronti tra dati assoluti che, in generale, hanno davvero poco senso. Questi confronti provano a mettere in relazione la fase attuale con la fase critica dei massimi di fine marzo e inizio aprile, cosa che, a nostro parere (e non solo), non è per nulla valida. Nella prima fase dell'epidemia, i casi di positività al SARS-Cov-2 venivano intercettati tramite "diagnosi" mentre oggi sono intercettati prevalentemente attraverso "screening" e tracciamento.

I confronti devono essere sempre fatti in termini relativi, dove l'aggettivo "relativo" è usato per indicare che le grandezze da confrontare devono essere considerate in "relazione" (rapportate) con la procedura da cui sono derivate. Ad esempio confrontare casi di COVID-19 ha senso solo se questi sono riferiti al numero di tamponi utilizzati. Ma non tutti i tamponi, solo quelli usati per trovare nuovi casi (situazione in cui 1 tampone = 1 persona). Questo serve proprio a controllare le differenze fra una strategia diagnostica e una di screening.

La necessità di analizzare dati relativi, ovvero rapporti fra grandezze tra loro connesse, come quote, proporzioni, tassi, rischi, odds e tutte le loro ulteriori elaborazioni, è stato da sempre un tema centrale dei nostri post e interventi pubblici. In tal senso, se si vuole trovare qualche connessione fra la prima onda e la fase attuale, si dovrebbe partire proprio dal rapporto fra casi positivi osservati e tamponi effettuati.

Nel grafico abbiamo riportato questo rapporto, relativamente ai tamponi totali (in rosso) e ai tamponi per solo test (in blu, escludendo i tamponi di controllo per verificare la negativizzazione al virus). Ricordiamo che nella prima fase dell'epidemia, i dati riportavano solo i tamponi totali, senza scorporo fra tamponi di test e tamponi di controllo. In ogni caso, il rapporto "rosso", nonostante non sia corretto dal punto di vista statistico, è pur sempre informativo della tendenza dell'epidemia poiché rappresenta un limite inferiore al rapporto "blu", che è una stima del "tasso di positività".

Analizzando l'andamento dinamico di questi due rapporti, è chiaro che forse l'unica similitudine che si può intuire è tra la fase iniziale di fine febbraio-inizio marzo e quella attuale. Questo sembra indicare che ci troviamo all'inizio di una seconda fase e dunque ogni confronto con i massimi della prima onda è davvero inconsistente sul piano statistico.

Siamo allora in una fase iniziale di accelerazione del contagio, ma ancora gestibile. Alcune misure restrittive possono essere pesanti per specifiche attività commerciali o del tempo libero, ma sono di gran lunga più sostenibili di una nuova chiusura generalizzata (che rischia di essere l'unica "arma finale" se non si ferma questa risalita) e dopotutto, ai cittadini in generale si richiede davvero poco: portare una mascherina, rispettare il distanziamento fisico, lavarsi spesso le mani. Possiamo farcela, basta provarci sul serio.


lunedì 12 ottobre 2020

Sindemia

 Covid-19: oltre l’aspetto epidemiologico, c’è un aspetto sociale. Il 26 settembre scorso, su #Lancet, rivista scientifica tra le più prestigiose e affidabili, si discuteva di un aspetto spesso tralasciato nelle varie analisi sul Covid-19 (https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)32000-6): è davvero una pandemia? Spesso lo diamo per scontato, ma in realtà potrebbe essere una sindemia (parola sconosciuta ai più). La sindemia è definita da Merril Singer negli anni novanta del secolo scorso, “Un'epidemia sindemica o sinergica è l'aggregazione di due o più epidemie o gruppi di malattie simultanei o sequenziali in una popolazione con interazioni biologiche, che esacerbano la prognosi e il carico della malattia.” Il covid-19 potrebbe essere proprio questo. Raramente uccide da solo, lo fa più spesso in concomitanza con altre malattie, disturbi e comunque problemi di salute palesi o nascosti. La maggior parte di queste malattie secondarie sono, in larga parte, legate allo status sociale delle persone. Horton, nella discussione su #Lancet, aggiunge: “La natura sindemica della minaccia che affrontiamo richiede un approccio più sfumato se vogliamo proteggere la salute delle nostre comunità. […] un approccio sindemico porta con sé interazioni biologiche e sociali che sono importanti per la prognosi, il trattamento e la politica sanitaria.”

Il Covid-19 non è solo una malattia virale, è la cartina tornasole delle malattie sociali. L’Italia non lascia indietro nessuno, sia che siate no-mask o no-vax, la sanità è pubblica e vi curerà, a prescindere dal ceto. Non ce lo dimentichiamo….


presa da qui

giovedì 8 ottobre 2020

Niente Panico e mettiamo le mascherine

 



In questi giorni stiamo assistendo ad una crescita, abbastanza importante, del numero di casi di covid-19 (e del tasso di positività) in tutta Italia. Alcune regioni sono decisamente in allarme (Campania), altre sono solo in allerta (Lazio, Sardegna, Liguria ad esempio). 

Questa situazione va però distinta da quello che è successo a –marzo-aprile, quando si avevano, come ora, anche più di 3000 positivi giorno. 
 La politica dei tamponi, nei giorni più drammatici, era molto diversa, si facevano tamponi solo ai sintomatici, per lo più gravi, e non avevamo la capacità di cercare gli asintomatici. Oggi è ben diverso, si fanno tamponi praticamente a tutti  e aggiungiamo, per fortuna. Siamo passati dai 30000 tamponi di fine Marzo ai 130000 circa di oggi. Sono ormai settimane che monitoriamo il tasso di positività, cioè il rapporto tra postivi e numero di persone testate. Oggi siamo al 6.5%, decisamente in rialzo. Questo ci permette di capire quanto il COVID-19 sia presente  nella popolazione, ricordando sempre che, per fortuna, gli asintomatici sono circa il 90% dei casi positivi al test. Un numero elevato di tamponi, un’efficace politica di screening ci consente di proteggere i più fragili e prevenire l'effetto catastrofico dell'intasamento delle terapie intensive. 
Come possiamo contribuire, facendo la nostra parte, ad evitare la diffusione senza controllo dell’epidemia? Anche qui la cosa non è complicata, ci sono pochi punti semplicissimi: 
1. Indossando le mascherine e lavando spesso le mani 2. Evitando gli assembramenti e mantenendo le distanze se siamo in molti 3. Isolando chi risulta positivo anche se asintomatico  4. Arieggiando spesso i locali in cui passiamo del tempo, dall'ufficio, alla classe, all'officina, alla stanza da letto ecc.


Un grande aiuto può darlo l'uso dell'app #Immuni non dimentichiamolo!

Ci chiediamo allora se sia davvero necessario usare lo spauracchio di un nuovo lockdown, alimentando incertezze e paure nella popolazione. L’obiettivo deve essere sensibilizzare e informare le persone. Spaventarle non aiuta a capire cosa c'è da fare. Il Paese sta tenendo bene ancora, tutti (o quasi) remiamo dalla stessa parte, il sistema sanitario si sta rafforzando e fornisce risposte rapide ed efficaci. Quindi basta fare attenzione e seguire le poche regole, quelle del buonsenso, che ci siamo dati e, in parte, ci hanno imposto. Poi c'è l'economia e sì quella fa paura almeno quanto l’epidemia. Non possiamo permetterci una nuova chiusura generalizzata, è evidente, bisogna esserne consapevoli. E allora basta mettere (correttamente) la mascherina. La situazione è seria, ma basta davvero poco per restare aperti e competitivi. 





venerdì 2 ottobre 2020

Andamento di un indicatore dell'OMS: il tasso di incidenza cumulata a 14 giorni

 


Il tasso di incidenza a 14 giorni per 100.000 abitanti è l'indicatore ufficiale con cui l'OMS valuta la velocità di diffusione dell'epidemia di Covid-19 nei vari paesi del mondo.
In generale, l'incidenza è il numero di nuovi casi osservati. Può essere giornaliera, mensile, ecc. In questo caso l'OMS considera i nuovi casi osservati nelle ultime due settimane, e li esprime per 100.000 abitanti togliendo così l'effetto della dimensione della popolazione. Essendo espresso in unità di tempo (14 giorni) questo rapporto è detto "tasso" poichè espireme la variazione del numero dei nuovi casi al variare del tempo
Nel grafico è riportato l'andamento di questo indicatore di velocità da inizio epidemia ad oggi per 30 paesi: quando l'indicatore sale, l'epidemia accellera, quando invece scende l'epidemia rallenta.
Al momento la graduatoria di questi 30 paesi è la seguente

L'Italia occupa la 13° posizione con 39 nuovi casi ogni due settimane per 100.000 abitanti. La situazione peggiore è quella di Israele con l'indicatore di velocità pari a 883.
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NB: gli zeri nella graduatoria sono approssimazioni di valori decimali





giovedì 24 settembre 2020

Comunicare la scienza in tempi di pandemia

 


(foto presa da qui ))


Ogni volta che scriviamo un post, c’è una domanda che immancabilmente ci guida: “Come facciamo a spiegare l’epidemia in modo che anche senza istruzione tecnica si abbia coscienza di cosa sta accadendo?”. In realtà, c’è molto di più dietro questa domanda, c’è il rapporto tra comunicazione scientifica, spesso tecnica e fredda, e comunicazione di massa, guidata da sentimenti e paure. Le riviste scientifiche sono il luogo per comunicare scienza. Un lavoro scientifico di impatto, un lavoro che scuote la comunità scientifica, ha un elevato grado di affidabilità e, generalmente, richiede molto tempo, molto lavoro e molti dati.

I giornali, i blog, i social network, invece, sono i principali luoghi per comunicare con la massa (i mass-media). Ovviamente, i mass-media non possono aspettare i tempi della scienza. La comunicazione di massa è "veloce" e, a volte, guidata dal desiderio dello "scoop", del sensazionale. In una situazione normale, i due modi di comunicare non si integrano spesso.
Questa epidemia ha avvicinato i due mondi: la sensazionalità e la ricerca dello scoop scientifico ha pervaso le riviste scientifiche, la solidità e razionalità delle ricerche scientifiche ha fatto breccia nei comunicatori che non si erano mai occupati di scienza. Non è detto che questo, però, sia un bene.
Molte riviste scientifiche di alto profilo hanno rubato il modo di comunicare dai mass-media e danno ampio spazio ad “esercizi intellettuali” sul covid (in stile “chi ha il modello più lungo”), basati su ipotesi incerte, su pochissimi dati e modelli approssimativi. Science, non il Corriere dei Piccoli, ne è pieno. In un’altra epoca le riviste scientifiche avrebbero rifiutato come inconsistenti tutti questi esercizi intellettuali senza battere ciglio. In un momento come questo dare spazio a studi mal costruiti, senza chiare premesse sulla validità dei dati e dei metodi è un atto irresponsabile. La strumentalizzazione di questi lavori è dietro l'angolo, bisogna esserne consapevoli, perché i mass-media non hanno le competenze di giudicare se una ricerca sia valida o meno; in un certo senso, si fidano della comunicazione scientifica, seppur non la comprendano sempre fino in fondo. Si è creata quindi una distorsione comunicativa.
Da questa distorsione nasce una nuova missione, che è la nostra, ma anche di tanti altri scienziati (vedi la fine del post): comunicare concetti, modelli, risultati, che abbiano simultaneamente la stessa solidità scientifica delle ricerche ben fatte e l’immediatezza tipica dei fenomeni che scuotono le masse. Comunicare scienza tramite i mass-media non è banale. Ottimi esempi sono
tutti blog che si prendono lo spazio e il tempo per spiegare bene le cose.
La comunicazione scientifica sui social è ancora una creatura giovanissima e capricciosa, non ha un'identità ben definita. Stiamo provando a dargliene una, cominciando dal mettere in guardia contro i sensazionalismi e le elaborazioni "ad hoc", manipolative, che a volte si incontrano (vedete il caso della Svezia, un fallimento e non una panacea).
Non dimentichiamo la responsabilità che tutti noi comunicatori (di scienza e di massa) abbiamo. Meglio un po’ di visibilità mediatica in meno e una buona ricerca, che l’approssimazione e la ricerca dello scoop per impressionare, a volte turbare (terrorizzare), le masse. Ribadiamo che non si fa il tifo per la scienza, non siamo venditori di opinioni, “la scienza non è democratica”, è competenza ed è questa che va valorizzata e difesa.