“Se ha una laurea scientifica e dice quello che vuoi, allora va bene”. Questa frase racchiude quello che succede quotidianamente nella comunicazione. Si hanno delle opinioni e si cerca qualcuno titolato pronto a supportarle.
Il nostro lavoro non funziona così. Non siamo qui a supportare le opinioni di alcuni a discapito di altri. La ricerca per essere autorevole deve lasciar fuori le opinioni personali, altrimenti perde di credibilità. Anche noi e i risultati delle nostre analisi spesso veniamo messi in discussione. Un po’ fa parte del gioco. Parlare, raccontare, fare ricerca ti espone a critiche e commenti.
La parte meno piacevole è che alcuni commenti, anche di stimati colleghi, non siano posti sul piano scientifico, ma travalichino l’aspetto accademico per diventare attacchi personali.
La nostra decisa presa di posizione sulla gestione dei dati dell’epidemia è ovvio che non faccia piacere a qualcuno e che invece possa essere strumentalizzata da altri.
Noi però non ci stiamo. In entrambi i casi, il nostro contributo è di natura pratica, vuole portare ad interventi mirati per una migliore gestione della situazione, che resta emergenziale. La polemica, la strumentalizzazione politica, non è per noi di alcun interesse.
Qualcuno ci chiede “cosa proponete?”, è facile criticare, molto più difficile costruire.
In questi mesi, i nostri lavori scientifici (argomentazioni verificate e scrutinate da altri tecnici) sono stati e sono in corso di pubblicazione su riviste importanti in ambito statistico e non solo. Abbiamo costruito modelli di previsione che possono (avrebbero potuto essere) utilizzati dai decisori politici. Non siamo gli unici (RobBayes, Covistat…). Le proposte, concrete, sono molteplici. Si potrebbero, ad esempio, assumere i disoccupati per riprendere il contact tracing. Realizzare campagne rapide di monitoraggio nelle scuole, somministrando tamponi salivari agli allievi e processandoli con la tecnica del pooled sample testing, in cui cinque (o più) tamponi vengono analizzati insieme in laboratorio: se il pooled sample risulta negativo, significa che tutti i singoli tamponi sono negativi e non occorre fare altre analisi; se il pooled sample è positivo, si torna ad esaminare i cinque tamponi uno per uno per individuare il (o i) positivo/i. (una tecnica che fa risparmiare moltissimo tempo e denaro, e che avevamo proposto, inascoltati, già un anno fa). Ancora, sarebbe opportuno usare i laboratori universitari in modo da non gravare ulteriormente sulla sanità pubblica. Istituire dei campioni di sorveglianza, gestiti dall’Istat che ha tutte le competenze per selezionarli e gestirli, sempre impiegando nella gestione operativa degli stessi personale formato ad hoc e assunto per l’occasione. Creare una rete di laboratori regionali che, a turno, sequenzino settimanalmente un elevato numero di tamponi positivi per determinare l’effettiva diffusione delle varianti. Insomma, le proposte concrete non ci mancano affatto: sono mesi che gli statistici, tutti insieme, provano ad alzare la voce e a farsi sentire. Noi siamo solo un mezzo.
Eppure c’è chi ancora pensa che sia interesse personale, brama di visibilità. Chi ci conosce sa che abbiamo uno spiccato senso delle istituzioni, noi ci identifichiamo con lo stato, con le istituzioni per cui lavoriamo. Non vediamo l’ora, come tutti, che questo momento passi per tornare alle nostre vite, fatte di cene, calcetto, mare, montagna, famiglia, tango, aikido, e soprattutto viaggi.
E per oggi dalla zona rossa (di vergogna) è tutto.
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