Non troppi anni fa, l’autunno caldo aveva un significato ben preciso. Si trattava di un modo per indicare le rivolte/rivendicazioni sindacali.
Ai nostri giorni, non ci apprestiamo più a vedere rivolte operaie, ma l’autunno caldo che ci prepariamo a vivere è legato al virus che ormai accompagna giornalmente la nostra vita da 18 mesi.
Premessa: tutti gli indicatori, dall’incidenza all’occupazione dei posti letto, sono in discesa. Una bella differenza rispetto ad un anno fa, in cui le prime due settimane di settembre mostrarono una rapida espansione dell’epidemia.
Eppure, tutti sono preoccupati dall’arrivo dell’autunno, tra scuole e ripresa delle attività al chiuso. Ed ecco che “l’autunno caldo” torna a far breccia nel lessico comune. Ma cosa accadrà realmente nelle prossime settimane? Le previsioni di lungo termine sono sempre ricche di incertezza, farle è un azzardo viste le variabili che entrano in gioco. Qualcosa, però, lo possiamo affermare senza timore: “questo autunno sarà diverso da quello del 2020”.
E’ plausibile che la riapertura delle scuole, la piena ripresa delle attività produttive, i trasporti pubblici sotto pressione, che l’anno scorso fecero da miccia al contagio, potranno contribuire a modificare l’andamento del contagio anche quest’anno. Tuttavia, qualcosa è cambiato. Qualcosa di sostanziale è cambiato. L’anno scorso la popolazione era completamente suscettibile al virus, non protetta dai vaccini. L’evoluzione della curva epidemica sappiamo dipendere da tre fattori cruciali: 1) il numero medio di contatti di ogni individuo; 2) la probabilità che un contagiato infetti un’altra persona facendo aumentare l’infettività; 3) il tempo di infettività della malattia. Lo scorso anno potevamo controllare solo il primo termine. E per contenere l’epidemia abbiamo adottato le chiusure, che hanno fatto scendere la curva lentamente.
Adesso, con l’introduzione dei vaccini, possiamo influire sulla probabilità di contagiare e sul tempo d’infettività, cioè per quanto tempo si rimane contagiosi. Uno studio apparso su Nature (https://www.nature.com/articles/d41586-021-02187-1) ci dice che grazie ai vaccini il tempo di infettività si è dimezzato, da due a una settimana e la probabilità di infettare è molto ridotta. Poi, sebbene la Delta sia più contagiosa dei ceppi originari, ha un tempo più breve di latenza, il periodo di incubazione della malattia in cui si è contagiosi ma senza sintomi: da una media di sei giorni siamo passati a quattro (https://www.nature.com/articles/d41586-021-01986-w). Grazie ai vaccini, così, la discesa della curva è avvenuta molto più velocemente.
E allora ne siamo fuori? No!
Siamo in quella fase in cui c’è da capire quale delle componenti che trainano l’epidemia avrà il peso maggiore. Immaginiamo una di quelle bellissime bilance con due piatti. Da un lato, il numero di contatti per persona aumenterà, con il riprendere delle attività produttive e della scuola (con tutto quello che ruota intorno alla scuola). Dall’altro, la quota di persone vaccinate continuerà ad aumentare, verso la cosiddetta immunità di popolazione, riducendo di molto la probabilità di infettarsi nella popolazione vaccinata (i dati già lo dimostrano). Da che parte penderà la bilancia è presto per dirlo, ma almeno in quest’autunno caldo abbiamo qualcosa per controbilanciare l’aumento del numero di contatti.
E allora ricordiamo sempre che “Unreliable predictions about COVID‐19 infections and hospitalizations make people worry” (www.dx.doi.org/10.1002/jmv.27325)
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