Se c'è una cosa che come StatGroup-19 ci siamo sempre riproposti è di non perdere la pazienza. Ebbene sì, non ce l'abbiamo fatta, ieri sera la pazienza l'abbiamo persa persino noi!
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Nella puntata del 17/11/2020 della trasmissione
DiMartedì
è andato in scena l'ennesimo dibattito approssimativo e, per certi versi, tragicomico sui “dati” di COVID19. Questa volta si è andati molto in là, portando la discussione sulle ragioni metodologiche dietro l'uso di alcuni indicatori (come Rt) per definire i livelli di criticità epidemiologica delle varie regioni italiane. Per discutere del tema, giornalisti ed esperti (non esperti di dati). Il dibattito è stato caratterizzato da una completa assenza di cultura statistica, diventando quindi “comico” a tratti per chi conosce la materia. A tratti è stato “tragico” perché ha messo ancor più in luce la voragine culturale che sta inghiottendo tutti da decisori a commentatori, in questo momento così delicato per il Paese. L'assenza di cultura quantitativa e l’analfabetismo numerico sono davvero un'emergenza sociale, oggi amplificata dalla necessità di prendere decisioni sulla base di evidenze scientifiche di tipo numerico.Ma veniamo al teatrino serale:
Prologo: l'eterna contraddizione. Nell'immaginario comune, è riconosciuto che la Statistica sia uno strumento fondamentale per spiegare e prevedere il comportamento di fenomeni complessi, come un'epidemia ad esempio. Essendo materia di studio in tanti percorsi universitari, è altresì vero che un po’ tutti pensano di conoscerla e quindi spesso si ritiene non necessario coinvolgere la comunità, le persone, che per professione si dedica al suo studio. Questo anche quando si affrontano questioni ai massimi livelli di criticità. Conoscere alcune nozioni basilari di Statistica, non rende statistici o esperti di analisi di dati. Così come il saper guidare una macchina non rende piloti di formula 1.
Atto (di fede). Il dibattito corre via velocemente, quando il giornalista Damilano affronta il tema e chiede al professor Richeldi (pneumologo e membro del CTS, ndr) di spiegare le ragioni dietro la scelta dei “parametri e se quell'indice su cui tutti ci accapigliamo (Rt, ndr) sia ancora realistico”. La replica del professor Richeldi è da citazione eterna in ogni corso di Statistica, a memoria di come spesso si prendano decisioni senza aver una cultura statistica appropriata. Rivolgendosi al giornalista, rivela: “è bene che noi ci intendiamo, non so se lei sapeva dell'indice Rt l'anno scorso? io personalmente no […] ora se non ci fidiamo e se non affidiamo agli esperti una regia, in questo paese secondo me difficilmente ne saltiamo fuori”. Incalzato poi da Floris sulla qualità dei dati e il ruolo di Merler (definito dal conduttore "superprofessore") chiude con un finale epico: “il superprofessore si trova nelle mani dei dati di cui valuta la qualità, l'attendibilità e l'affidabilità e come vengono inseriti in un parametro multiparametrico (! ndr)”. Ecco lo specchio del momento, parole senza senso, usate per giustificare scelte non chiare, affidandosi alla fede, la fede in una singola persona, l’unico in possesso dei dati.
Epilogo: Rt. Così non va bene per nulla. Affidarsi agli esperti va bene ma fare un atto di fede verso ciò che sostiene un solo esperto scelto come unico depositario della verità statistica sulla questione COVID non è accettabile da un punto di vista scientifico. L'approssimazione con cui viene affrontato e discusso un tema di tale rilevanza come quello delle ragioni scientifiche dietro l'uso di indicatori non può passare in questo modo. E qui c’è anche la responsabilità di alcuni commentatori che non riescono a capire il ruolo rilevante di chi è davvero esperto di Statistica, anche nel dibattito pubblico. Su Rt si deve poter discutere. Prima di tutto Rt non si può calcolare, al massimo si può stimare, ovvero se ne può dare una approssimazione statistica accompagnata da un livello di incertezza. In quanto stima, si basa su una procedura (modello) e procedure diverse daranno stime diverse, con valutazioni dell’incertezza diverse. In questo quadro l'atto di fede non si può fare. Va spiegato e chiarito bene perché si debba usare tale indicatore e perché le assunzioni fatte siano le migliori possibili, oltre che garantirne la verificabilità empirica.
Conclusione. Purtroppo, è sempre più frequente assistere a dibattiti su questioni rilevanti dal punto di vista decisionale in cui sia presente la Statistica, salvo accorgersi che gli unici assenti sono proprio gli statistici. Il non saper/voler riconoscere l'importanza scientifica del loro ruolo nello studio di fenomeni complessi, nella gestione di criticità e nei processi decisionali è estremamente grave. La Statistica è l'essenza metodologica su cui poggia tutta la ricerca scientifica, sia in ambito sperimentale che in quello sociale, ha lo stesso ruolo che la Filosofia ha per la Scienza, è il suo fondamento teorico e concettuale: la ricerca senza la Statistica sarebbe cieca. Si deve allora comprendere ed accettare che nel dibattito (anche) pubblico su questioni di metodo gli unici che possano spiegare e chiarire i dubbi a decisori e cittadini sono proprio gli statistici.
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