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giovedì 24 settembre 2020

Comunicare la scienza in tempi di pandemia

 


(foto presa da qui ))


Ogni volta che scriviamo un post, c’è una domanda che immancabilmente ci guida: “Come facciamo a spiegare l’epidemia in modo che anche senza istruzione tecnica si abbia coscienza di cosa sta accadendo?”. In realtà, c’è molto di più dietro questa domanda, c’è il rapporto tra comunicazione scientifica, spesso tecnica e fredda, e comunicazione di massa, guidata da sentimenti e paure. Le riviste scientifiche sono il luogo per comunicare scienza. Un lavoro scientifico di impatto, un lavoro che scuote la comunità scientifica, ha un elevato grado di affidabilità e, generalmente, richiede molto tempo, molto lavoro e molti dati.

I giornali, i blog, i social network, invece, sono i principali luoghi per comunicare con la massa (i mass-media). Ovviamente, i mass-media non possono aspettare i tempi della scienza. La comunicazione di massa è "veloce" e, a volte, guidata dal desiderio dello "scoop", del sensazionale. In una situazione normale, i due modi di comunicare non si integrano spesso.
Questa epidemia ha avvicinato i due mondi: la sensazionalità e la ricerca dello scoop scientifico ha pervaso le riviste scientifiche, la solidità e razionalità delle ricerche scientifiche ha fatto breccia nei comunicatori che non si erano mai occupati di scienza. Non è detto che questo, però, sia un bene.
Molte riviste scientifiche di alto profilo hanno rubato il modo di comunicare dai mass-media e danno ampio spazio ad “esercizi intellettuali” sul covid (in stile “chi ha il modello più lungo”), basati su ipotesi incerte, su pochissimi dati e modelli approssimativi. Science, non il Corriere dei Piccoli, ne è pieno. In un’altra epoca le riviste scientifiche avrebbero rifiutato come inconsistenti tutti questi esercizi intellettuali senza battere ciglio. In un momento come questo dare spazio a studi mal costruiti, senza chiare premesse sulla validità dei dati e dei metodi è un atto irresponsabile. La strumentalizzazione di questi lavori è dietro l'angolo, bisogna esserne consapevoli, perché i mass-media non hanno le competenze di giudicare se una ricerca sia valida o meno; in un certo senso, si fidano della comunicazione scientifica, seppur non la comprendano sempre fino in fondo. Si è creata quindi una distorsione comunicativa.
Da questa distorsione nasce una nuova missione, che è la nostra, ma anche di tanti altri scienziati (vedi la fine del post): comunicare concetti, modelli, risultati, che abbiano simultaneamente la stessa solidità scientifica delle ricerche ben fatte e l’immediatezza tipica dei fenomeni che scuotono le masse. Comunicare scienza tramite i mass-media non è banale. Ottimi esempi sono
tutti blog che si prendono lo spazio e il tempo per spiegare bene le cose.
La comunicazione scientifica sui social è ancora una creatura giovanissima e capricciosa, non ha un'identità ben definita. Stiamo provando a dargliene una, cominciando dal mettere in guardia contro i sensazionalismi e le elaborazioni "ad hoc", manipolative, che a volte si incontrano (vedete il caso della Svezia, un fallimento e non una panacea).
Non dimentichiamo la responsabilità che tutti noi comunicatori (di scienza e di massa) abbiamo. Meglio un po’ di visibilità mediatica in meno e una buona ricerca, che l’approssimazione e la ricerca dello scoop per impressionare, a volte turbare (terrorizzare), le masse. Ribadiamo che non si fa il tifo per la scienza, non siamo venditori di opinioni, “la scienza non è democratica”, è competenza ed è questa che va valorizzata e difesa.



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